Volti e testimonianze
della Grande Guerra
Foto di Antonio Alecci |
L’intervista al
professor Poidomani ci ha affascinato a tal punto che abbiamo deciso di
dedicare uno spazio considerevole a tre protagonisti della grande guerra, le
cui vicissitudini sono ricostruite attraverso le lettere e i diari che sono
stati pubblicati da Poidomani nel libro “Lutti
e memorie dei siciliani nella Grande Guerra”. Due sono le considerazioni
importanti a cui siamo giunti:
la prima è che dall’analisi delle loro lettere è
possibile cogliere le diverse modalità di percezione della guerra legate
all’ambiente familiare di provenienza, alle differenze socioeconomiche ed anche
al ruolo che ricoprivano durante la guerra; la seconda considerazione riguarda
invece l’enorme importanza della scrittura, non solo come mezzo di elaborazione
dell’esperienza della guerra ma anche come fonte di consolazione sia per chi
stava al fronte, sia per chi aspettava a casa notizie dei propri familiari.
Vincenzo Rabbito
Per quanto anonimo
possa risuonare questo nome alle orecchie di molte persone, Vincenzo Rabbitosi
scopre essere una figura che ha dato molto e che merita di essere conosciuto.
Egli era un contadino semi-analfabeta che “imparò” a suo modo la lettura e la scrittura dai quaderni e dai libri del fratello. Da contadino divenne soldato quando venne arruolato, insieme a molti altri, per far parte dell’esercito italiano per far fronte al primo conflitto mondiale, e come ci dirà lui stesso anche il secondo. Rabbito, come quasi tutti, durante il periodo fuori casa scriveva, lo faceva come poteva e come riusciva a fare, da ciò ha tirato fuori un diario reso pubblico venti anni dopo dal figlio,diario che è diventato “Terra matta”, un libro che tutti dovrebbero leggere, in cui egli racconta il suo punto di vista su quello che fu la grande guerra. Pur non contenendo un linguaggio aulico bensì un dialetto non privo di errori, riesce a trasmettere come poteva essere vissuta la guerra dal soldato semplice con tutto il corredo di paura, di voglia di scappare e disperazione nell’essere diventato la causa di morte per altri uomini.
Egli era un contadino semi-analfabeta che “imparò” a suo modo la lettura e la scrittura dai quaderni e dai libri del fratello. Da contadino divenne soldato quando venne arruolato, insieme a molti altri, per far parte dell’esercito italiano per far fronte al primo conflitto mondiale, e come ci dirà lui stesso anche il secondo. Rabbito, come quasi tutti, durante il periodo fuori casa scriveva, lo faceva come poteva e come riusciva a fare, da ciò ha tirato fuori un diario reso pubblico venti anni dopo dal figlio,diario che è diventato “Terra matta”, un libro che tutti dovrebbero leggere, in cui egli racconta il suo punto di vista su quello che fu la grande guerra. Pur non contenendo un linguaggio aulico bensì un dialetto non privo di errori, riesce a trasmettere come poteva essere vissuta la guerra dal soldato semplice con tutto il corredo di paura, di voglia di scappare e disperazione nell’essere diventato la causa di morte per altri uomini.
Giovanni Raffaele
Salonia
Fu un tenente
dell'esercito italiano di provenienza modicana, che come Rabbito prese parte al
primo conflitto mondiale. È necessario dire che grazie alle vicende di Salonia,
e di tanti altri ragazzi che vissero esperienze simili, sappiamo che in quegli
anni l'Esercito italiano era carente di ufficiali, per questo motivo si sentì
la necessità di formarne di nuovi nel più breve tempo possibile. Così decine di
migliaia di ragazzi vennero sottoposti a dei corsi accelerati della durata di
due o tre mesi, che non sarebbero assolutamente stati sufficienti a prepararli
realmente alla guerra. Inoltre, l'unica discriminante di selezione era
l'appartenenza al ceto medio, e il conseguimento del diploma, o un titolo di
studio superiore. Ciò in cui la testimonianza di Salonia differisce da quella
di Rabbito è la tipologia. Essa, infatti, è costituita da un insieme di lettere
e cartoline che lui e la sorella Aurora si scambiarono tra il 1914 e il 1918.
Questo scambio epistolario è molto importante, perché ci consente di avere un'idea
generale di quale fosse il rapporto tra il soldato al fronte e la famiglia, ma
bisogna anche dire che Salonia, in realtà, non essendo un soldato semplice,
bensì un tenente, fa trasparire chiaramente il fatto che lui riuscisse a trarre
soddisfazione dalla carriera militare, grazie, per esempio, a momenti di
svago o a delle semplici passeggiate a
cavallo. Inoltre, dato che le testimonianze di Salonia sono costituite da
lettere e cartoline indirizzate alla famiglia, non abbiamo modo di sapere se
ciò che scriveva venisse talvolta "filtrato", al fine di non causare
timori nell'animo dei familiari. Per questo motivo si pensa che il racconto di
Salonia, probabilmente, avrebbe avuto un carattere diverso, più oggettivo, più
crudo magari, se si fosse trattato, ad esempio, di un semplice diario per se
stesso.
Nel
1917 Virgilio Cannata scrisse nel suo diario ciò che accadeva ai prigionieri
italiani destinati a morire di fame nei campi di concentramento. Durante la 1°
guerra mondiale si sperimentarono le prime forme di detenzione di massa,
costituita dai prigionieri di guerra. Tutti gli Stati si trovarono quindi ad affrontare il problema
della gestione di migliaia di persone alle quali finivano con l’inviare lo
stretto necessario.
Nei
campi di prigionia, i soldati per lenire la fame bevevano tanta acqua,
mangiavano erba, terra, sassi, legno e carta con conseguenze letali. Al mattino
bevevano caffè d’orzo, a cena e a pranzo minestra di acqua e qualche foglia di
cavolo, una patata e una sola fetta di pane integrale per tutto il giorno. Ricevevano
un’aringa e un minuscolo pezzo di carne
2/3 volte la settimana. Per la fame i prigionieri vivevano in uno stato di
semistupidità, non avevano la lucidità di chiedere nemmeno aiuto.
Il
freddo in Austria e in Germania arrivava a – 29° gradi, loro vivevano in
baracche, con una minuscola coperta, la divisa ridotta a stracci, le scarpe,
distrutte dalle lunghe marce nei campi di concentramento, erano sostituite da
calzature improvvisate. Tanto
il freddo e la fame, la mattina molti di loro venivano trovati morti. Si
verificava anche il congelamento degli arti che spesso bisognava amputare. Tra
questi soldati italiani lasciati morire di fame e di malattie, ci fu pure il
modicano Virgilio Cannata, nato a Catania il 24 aprile 1897 da genitori
modicani; aveva studiato al Liceo classico Tommaso Campailla, partito come
sottotenente e preso prigioniero il 26 ottobre 1917, morirà il 18 aprile 1918.
La
storia drammatica dei prigionieri di guerra è stata molto trascurata, solo
negli ultimi anni del Novecento, la
storiografia ha cominciato ad occuparsi di loro, insieme ai protagonisti non
combattenti come le donne e i profughi.