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Da qualche tempo i rapporti tra
Stati Uniti e Iran si sono inaspriti dal momento che nel maggio del 2018 il
presidente americano Donald Trump ha deciso di abbandonare l’accordo sul nucleare
negoziato con l’Iran dall’ex presidente Barack Obama nel 2015.
Tale accordo
prevedeva che l’Iran eliminasse le riserve di uranio e riducesse di due terzi
le centrifughe di gas per tredici anni e gli Stati Uniti in cambio avrebbero
eliminato le sanzioni imposte negli anni precedenti. Una volta abbandonato tale
accordo, Trump introduce nuovamente quelle sanzioni contro lo stato
medio-orientale.
L’intento del presidente
statunitense è anche quello di indurre l’Iran a ritirarsi dalla Siria, dove
appoggia il presidente Bashar al-Assad nella costruzione di basi missilistiche
ritenute però pericolose per lo stato di Israele.
Ad aumentare il clima di tensioni
tra Iran e USA è stato l’abbattimento di un drone spia americano intercettato
nello spazio aereo di Teheran nel giugno del 2018.
In risposta Trump predispone un
attacco militare, che però annulla poco prima della sua attuazione, perché
avrebbe provocato la morte di almeno centocinquanta persone, decidendo invece
solo di sanzionare ulteriormente l’Iran.
Tre mesi dopo un raid colpisce
una delle più grandi raffinerie saudite, ma nonostante gli Stati Uniti
sostengano che sia stato lanciato da Teheran, alcune basi missilistiche
americane a nord dell’Iraq vengono bombardate. Pertanto le milizie iraniane
presenti in Iraq ed in Siria vengono attaccate.
Ciò basta per scatenare l’assalto
americano all’aeroporto di Baghdad il 30 dicembre scorso, la cui conseguenza
colpisce l’Iran dritta al cuore con la morte del generale Qassem Soleimani,
comandante iraniano.
Nella notte tra il 7 e l’8
gennaio lo stato islamico vendica la morte del generale Soleimani lanciando
ventidue missili balistici su due basi irachene che ospitano soldati americani.
I media iraniani parlano anche di un certo numero di vittime in seguito a questo
attacco, cifre fino ad ora smentite dagli USA. Teheran ha rivendicato la legittimità di tale
aggressione per dare un segnale e cioè quello che di fronte ad un attacco il
paese è pronto a difendersi, ma non vuole una guerra. Adesso si aspetta la
risposta degli Stati Uniti. Ma come interpretare questo silenzio?
Si può ancora negoziare una
tregua o è già troppo tardi per evitare l’inevitabile?
Christian Sortino - classe 3S1