Centenario della morte di Giovanni Verga
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Raccontare la verità, così per com'è, senza doverla adattare a ciò che si vuole vedere, senza doverla cambiare nei tratti che non si accettano. La ricerca delle giuste parole per farlo diventa dunque attenta, perché ciò che si racconta appartiene a tutti, non esclude alcun uomo, lo accoglie in abbraccio e crudamente gli confessa di star vivendo la stessa difficile vita.
Verità,
dunque vero. Dunque.... Verismo.
Sono
trascorsi esattamente cento anni dal 27 gennaio 1922, data in cui si spense Giovanni Verga, grande scrittore italiano nonché fondatore del
Verismo in Italia. Ciò che riuscì a raccontare, denunciando la realtà del suo
tempo, con le parole sempre giuste e le storie solo veritiere, oggi trova
ancora immensa attualità, è rimasto reale e resta un valido mezzo letterario
per parlare del vero, della vita, delle difficoltà.
Famosa
e rinomata com'è, l'opera di cui voglio parlarvi sono certa sia già a vostra
conoscenza, ma l'ho scelta, in occasione del Centenario del suo autore, perché
non ha risentito del tempo trascorso dalla sua prima pubblicazione (1878) ad
oggi e i temi trattati tra le sue righe sono ancora una piaga della nostra
società nonostante siano già stati fatti grandi passi in avanti.
A
parole mie, brevemente, ve la racconto...
“Rosso Malpelo
Se è
vero che la Letteratura non muore e non si sciupa col tempo, è allora vero che
è possibile applicarne suoi punti di vista e filosofie di pensiero anche al
presente. E dunque potrebbe ritenersi possibile partire da un concetto, che è
anche un contemporaneo aforisma: "i soldi non fanno la felicità" e
come primo passo è necessario smontare quanto appena detto. Le condizioni
difficili, dure e tutt'altro che serene, della quotidianità di Malpelo
testimoniano quanto uno stato di povertà e bisogno possa incidere persino sulla
felicità di un contesto familiare ed eliminarne ogni forma d'affetto. A
prevalere sono le difficoltà e i sensi entrambi di sacrificio e responsabilità,
sopravvenuti in Malpelo alla morte del padre, unica figura tra l'altro in grado
di dimostrargli affetto senza mai tralasciare l'insegnamento e la
predisposizione ad una vita sacrificata.
Mal visto com'era, Malpelo, una volta persa la sua
unica guida nonché àncora, pone ogni suo atteggiamento come una sorta di difesa
dal prossimo come compagno di lavoro o datore di lavoro, e dalla società in
linea ampia e generale che lo ha sempre emarginato, deriso e ripudiato per le
sue sembianze poco tipiche del territorio siciliano. Con una madre assente e
per la quale costituiva solo una fonte di reddito, quando non lo era di guai, e
una sorella già moglie e quindi un po' lontana dagli interessi familiari,
Malpelo era certo di non mancare a nessuno in caso di sua scomparsa e,
ritenendo superflua la sua presenza in casa, preferiva trascorrere il suo tempo
al buio in miniera dov'era nato e dov'era consapevole avrebbe consumato il suo
ultimo respiro.
Fortuna
o sfortuna, la sorte gli aveva concesso un amico, o qualcuno da tenere in
custodia sott'ala, per meglio dire, lasciando che diventasse per Malpelo la cosa
più simile ad una famiglia. Non siamo altro che spugne: assorbiamo ciò che ci
viene dato, ed è certo che se si tratta d'acqua è impossibile essere pieni di
vino. Malpelo era pieno d'odio, aveva ricevuto botte a dismisura e, nonostante
la sua tenera età, s'era fatto la pelle dura ché la sventura lui la conosceva
già bene. Che amore poteva regalare a Ranocchio? Fece come poté e gli insegnò
il senso della vita, che era per lui solo condanna che non si era scelto e per
la quale era responsabile per il fatto stesso d'esser nato. Gli mostrava il
dolore e non perdeva occasione per renderlo forte e senza paura. È altrettanto
vero, se dobbiamo dirla tutta, che a suo modo Malpelo voleva bene a Ranocchio e
più che compassione era evidente si trattasse proprio di cura e affetto.
Perdere anche lui fu un pesante colpo da incassare, l'ultimo prima di fare la
fine del padre e di altri uomini sventurati e impotenti davanti ad un destino
che non si cambia: nella povertà e nello sfruttamento si nasce e lì stesso si
muore.
Verga
questo lo disegna con penna nera e tratti crudi e decisi, e lascia che sia il
lettore a coglierne il vero e l'insegnamento da Malpelo. Il finale è indiretto
e chiuso, come il senso di quella vita d'altronde, e del piccolo diavoletto
rosso altro non resta che in novella un breve racconto.”
La
morale lascio siate voi a coglierla, certa che non sbaglierete
nell'interpretarla... Perché d'altronde, come Verga ci insegna, non c'è mai errore nella verità.
Maria Virginia Consales – Classe 5^ S1