Storie che fanno riflettere
In questo periodo di quarantena,
oltre ad annoiarmi, sto cercando di darmi più tempo per riscoprire nuovamente i
miei hobby e trovarne di nuovi, purché si possano sempre svolgere dentro le
quattro mura di casa. Fra questi c’è certamente la lettura a cui, per un motivo
o per un altro, durante la vita ordinaria, non ho mai avuto sufficientemente
tempo da dedicare. Non a caso in queste ultime settimane ho acquistato diversi
libri che da tempo avevo intenzione di leggere, approfittando anche del bonus
cultura che mi è stato assegnato proprio i primi giorni dello scorso mese. Con
questo articolo ho intenzione di riflettere sul primo di questi libri che ho
acquistato e letto. Avevo visto tempo fa un trailer al cinema che annunciava
l’uscita del film “Il diritto di opporsi” ma che purtroppo non ho avuto modo di
andare a vedere ed in un certo senso, per colmare a questa mancanza, ho deciso
di cercare il libro online, che per mia fortuna sono riuscito a trovare, tra
l’altro con un edizione recente di gennaio. È stato il primo libro che ho letto in questo
lungo periodo casalingo e posso dire che sia anche quello che ho letto più velocemente
in assoluto, sia per la maggiore quantità di ore disponibili, ma anche per la
trama così avvincente che mi ha completamente coinvolto. La vicenda è narrata
da un avvocato statunitense dell’Alabama, Bryan Stevenson, che è anche il
protagonista del libro stesso: il tutto è basato su fatti realmente accaduti e
vissuti dallo scrittore stesso. Stevenson dopo aver conseguito la laurea in
giurisprudenza decise di intraprendere la professione d’avvocato aprendo,
insieme ad altri colleghi universitari, un associazione no profit che si occupava
di difesa dei diritti civili di coloro che si trovavano nel braccio della
morte, prossimi quindi ad un esecuzione di pena di morte, con lo scopo di dare assistenza a chi purtroppo
non avrebbe avuto la possibilità economica di avere un avvocato che fosse realmente
intenzionato a prendere sul serio cause
così importanti. Nel libro Stevenson narra di tante storie d’ingiustizia che ha
affrontato nel corso dei suoi anni di carriera e la causa principale
protagonista del libro e del film è quella di Walter McMillian. McMillian fu
condannato ingiustamente dell’omicidio di una donna con accuse palesemente
infondate solo perché era necessario trovare un capro espiatorio per questa vicenda
e, dopo un presunto episodio di adulterio, e essendo anche una persona di
colore che già a priori non era ben vista a causa dell’odio razzista presente
in quegli anni negli Stati Uniti, McMillian aveva già perso la propria
credibilità sociale ed era, dunque, per la comunità e le autorità il carnefice
perfetto. Stevenson riesce tuttavia a salvare la vita a McMillian vincendo la
causa, ma la libertà non basterà a cancellare gli orrori subiti e visti da
Walter in 6 anni nel braccio della morte, e ciò che gli è stato tolto non gli
sarà più ridato: la dignità di uomo. In
questo libro viene a galla un sistema giudiziario senza scrupoli e che condanna
a morte innocenti, bambini, invalidi, malati psichici che sicuramente avrebbero
avuto anche necessità di avere adeguate cure. Si denuncia un sistema che non si
preoccupa di effettuare un processo di reinserimento sociale per nessuno di
questi detenuti e che pensa che l’esecuzione capitale sia la migliore via
d’uscita nonostante i dati parlino chiaro: negli ultimi decenni del novecento gli
Stati Uniti sono tra i paesi con il tasso di criminalità più alto. Fa capire
quanto sia vile che uno Stato si abbassi a gesti criminali come quelli dei
criminali stessi e che occulti prove, raggiri le autorità giudiziarie e
manometta la legge a proprio piacimento. Stevenson in questo libro non vuole
giustificare chi ha commesso reati, ma sicuramente vuole salvare chi non ha
commesso nulla come McMillian e far capire che la pena di morte non è la giusta
via, soprattutto in un sistema in cui non ci si preoccupa di effettuare un
processo giuridico completo; inoltre vuole evidenziare che il diritto alla
difesa è un diritto inalienabile che è previsto dalla legge e che non
può essere tolto neanche al peggior criminale del mondo, men che mai a chi sta
per affrontare una pena non proporzionata al reato commesso, a chi
necessiterebbe di sentenze adeguate alla propria età (minori) o a chi è
completamente innocente. I nostri principi costituzionali e il nostro sistema
giudiziario, che tuttavia ha sicuramente anch’esso delle imperfezioni, ci fanno
capire che però non tutti i paesi degli USA rappresentano gli Stati Uniti che
noi Europei tanto sogniamo; non sono come li immaginiamo soprattutto se a
raccontarli è un cittadino e lavoratore statunitense che ancora ai giorni nostri
si trova a lottare per diritti di cui noi già godiamo da diversi anni. Questo
libro mi ha aperto gli occhi facendomi capire che tutto il mondo è paese, che
la corruzione non esiste solo in Italia come molti cercano di farci credere, ma
che esiste solo il male ed il bene e noi abbiamo il libero arbitrio per
decidere da che parte schierarci: sta a noi la scelta di decidere con chi
giocare la partita della vita!
Samuele Firera classe V GR