giovedì 19 gennaio 2023

Da Ellis Island a Lampedusa

Storie di migrazioni al femminile



Immagine tratta dal web
Nel cercare il sogno americano che prometteva una vita migliore, era spesso tipico che l’uomo partisse e lasciasse la famiglia. Ma ciò non era in tutti i casi possibile. Solo dopo essersi stabilito, dopo aver trovato casa e lavoro, chiamava la famiglia per raggiungerlo.
La storia dell’immigrazione in Sicilia e in America è collegata, in entrambi i casi, a quella di due isole, quella più vasta italiana di Lampedusa e quella più piccola americana di Ellis Island.C’è un filo che lega la Sicilia all’America, un filo che lega un passato fatto di speranze e voglia di cambiare vita: si tratta delle migrazioni susseguitesi tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento.
Quando il fenomeno delle migrazioni ebbe inizio, molti siciliani sbarcarono in America, portando le loro tradizioni, la loro cultura e il loro dialetto. Gli americani pensavano che fossero dei mafiosi, che erano stati loro a portare la mafia nel paese. I siciliani erano visti come persone disoneste e con un colore della pelle più scuro.
Molte delle problematiche per cui questa gente scappava dal proprio paese sono legate alle guerre, alle persecuzioni e alla miseria. Pensava fosse una svolta emigrare verso paesi in via di sviluppo. E ancora oggi è questa l’idea di molti.
Ci sono modi e modi per raccontare questo fenomeno e giocare con il linguaggio è sicuramente uno tra i più originali degli ultimi tempi.
La storia di Favola Cinquemani, una ragazza che durante il primo Novecento viene spinta a partire per l’America in cerca di un futuro migliore, è raccontata da Cono Cinquemani nel romanzo “Zia Favola. Una storia siculish”. La particolarità caratterizzante del romanzo è il siculish, un misto tra italiano e siciliano americanizzato, un fenomeno nato in seguito alle migrazioni dei siciliani in America nel primo Novecento. La storia di Favola è diventata un ricordo nostalgico per ricordare chi, come lei, con la valigia di cartone, colma di pensieri e speranze, decide di affrontare il lungo viaggio per raggiungere la terra del sogno. I suoi genitori, Maria Nicolosi detta la “Tirara” e Giuseppe Cinquemani detto “Vinurussu”, le diedero alla nascita il nome di Favola, come auspicio per la vita. La nascita della figlia femmina era considerata un peso, a differenza del figlio maschio che rappresentava forza nel lavoro nei campi e molti meno pensieri per il padre. Quando Favola ha solo sedici anni, molti cominciavano ad imbarcarsi per raggiungere la “Merica”. E pure il turno di Favola arriva presto. Per partire occorreva avere un fidanzamento ufficiale e visto che Favola non aveva mai visto un uomo in vita sua, il parroco del paese trova per lei un giovanotto che già si trovava in America e che sicuramente non si sarebbe tirato indietro a sposarla. La madre e la zia la preparano per il viaggio. Dovrà fare affidamento solo sulle sue forze. Durante il viaggio però si ammala ed è per questo costretta a guarire per poter passare i controlli a Ellis Island. Su quell’isola Favola ci resterà per quasi un anno, ma il suo fidanzato l’andrà a trovare tutti i giorni. Quando finalmente tocca il suolo americano, comincia a lavorare e insieme al marito compra una casa. In seguito, grazie al libro delle erbe che le aveva lasciato la madre, riuscirà ad aprire un negozio, che diventerà un punto di riferimento per i siciliani.
La storia di zia Favola è la storia di ieri e di oggi, la memoria di tante testimonianza, di chi quel sogno di avere una vita migliore l’ha realizzato e di chi invece è stato costretto a rinunciarvi. 
Immagine tratta dal web
Un’altra storia che crea vertigine per quanto ci si senta colpevoli a non averla raccontata ovunque fosse possibile, è quella di Samia Yusuf Omar, diventata il romanzo “Non dirmi che hai paura” di Giuseppe Catozzella. Samia è una ragazza somala con un talento: la corsa. Non ha mai preso lezioni, l’unico a sostenerla è il suo amico Alì, che ne cronometra il tempo. Mo Farah, campione olimpico somalo, è il dio benigno che accompagna Samia. Senza sponsor, allenatori e medici, riuscirà a qualificarsi alle Olimpiadi di Pechino del 2008. Si classifica ultima, ma il suo unico e vero traguardo è Londra. Samia sa che per vivere deve correre. È consapevole del lungo viaggio che dovrà affrontare, ma nonostante questo la tragica avventura inizia presto. Settantadue persone nel cassone di un fuoristrada. Per viaggiare bisogna alleggerire i bagagli anche perché l’alternativa è restare ad Addis Abeba. Samia ha dei ripensamenti sul momento, poi però apre la borsa, prende le quattro cose fondamentali e affida il suo destino ad Allah. Il viaggio, prima nel cassone di un fuoristrada e poi in un barcone, sembra non finire mai. La fine di Samia la si apprende dalla celebrazione di Bile, atleta somalo che celebra il trionfo di Mo Farah alle Olimpiadi di Londra nel 2012. In quel momento ricorda Samia, morta nelle acque di Lampedusa, nel tentativo di raggiungere Londra. La storia di Samia è una storia che mette in risalto il destino, il dolore e l’ingiustizia, che suscita sentimenti riguardo al futuro che non arriva.
La mia riflessione su queste due storie è la seguente: a volte il nostro Stato non è in grado di ospitare gran parte dei migranti che sbarcano nei porti più vicini a noi, magari per problemi economici, di ospitalità, ma aiutare chi conosce condizioni di vita di cui noi non sappiamo minimamente l’esistenza è un atto corretto per tutta quella gente che non ha niente di differente da noi.

 

 

Asia Adamo – Classe 2^ CA1