Una
lezione di vita con Franco Perlasca
Lo
scorso 6 Maggio le classi terze e quarte del nostro istituto hanno
partecipato ad un importante incontro che ha visto protagonista
Franco Perlasca, il figlio di Giorgio Perlasca, e la moglie. Il
motivo dell’incontro, svoltosi nell’Aula Magna del nostro
istituto, è stato proprio un momento di approfondimento e
riflessione su un atto coraggioso compiuto da un uomo che ha messo a
rischio
la propria vita per salvarne migliaia: Giorgio Perlasca era un importatore
italiano di bestiame che durante il secondo conflitto mondiale si trovava in
Ungheria a Budapest. In attesa di tornare in patria, Perlasca pensa di fuggire
quando la situazione precipita del tutto, e incredibilmente decide invece di
collaborare per la protezione degli ebrei. L’Ungheria ha una storia diversa
rispetto alle altre Nazioni, reduci della Seconda guerra Mondiale. Nel 1944
vengono introdotte leggi razziali, ma non ci sono campi di sterminio. Quando i
russi arrivano in Ungheria, la situazione diventa insostenibile: più di 600.000
ebrei vengono uccisi senza una motivazione, solo ed esclusivamente per il fatto
di essere ebrei. Perlasca, fingendosi un diplomatico spagnolo che sostituiva il
vero diplomatico Sant Briz, allontanatosi dall’ambasciata spagnola per
comunicare meglio con Madrid, cominciò a distribuire dei salvacondotti,
documenti che permettevano di entrare, uscire e circolare in aree controllate
militarmente senza rischio per coloro che li possedevano; avrebbe potuto
distribuirne un massimo di 300, ma lui continuò a distribuirne circa 5000.“Mio
padre Giorgio era una persona normale, un semplice commerciante, non un eroe,
ma un uomo che non si è voltato dall’altra parte davanti alle ingiustizie e
anzi ha aiutato queste povere persone rischiando la sua vita”, afferma il
figlio Franco. E aggiunge che i diplomatici, per far rispettare ciò che
chiedevano con il loro operato scrivevano lettere di protesta, pur sapendo che
quelle lettere non sarebbero mai state aperte né tanto meno lette, Perlasca per
rendere meglio la sua parte di finto diplomatico scrisse pure lui una lettera
di protesta, ma a differenza di altri lui andava a controllare di persona se
ciò che aveva scritto veniva letto e preso in considerazione. Tornato in Italia
il giovane Perlasca non raccontò nulla di ciò che aveva fatto neanche alla sua
famiglia, e decise di scrivere tutto ciò che era accaduto a Budapest giorno
dopo giorno in un diario personale; ne scrisse 3 copie, una conservata nel suo
cassetto per 45 anni, una mandata al governo Italiano e una al governo
Spagnolo. Il figlio Franco racconta che quando era ancora uno studente alle
scuole medie, chiedeva spesso al padre di raccontargli come fosse Budapest e
cosa avesse fatto lì, ma il padre si limitava solamente a raccontare le
differenze fra il cibo italiano e quello ungherese. Nel 1980 il figlio di
Perlasca con sua moglie decisero di partire per Budapest e un giorno posarono
una cartina geografica sul tavolo, in modo da farla vedere a Perlasca sperando
in qualche sua reazione, e magari qualche notizia in più del suo viaggio fatto
anni prima, ma egli si limitò a dire che era una bella città. Nel 1985 Perlasca
si ammala seriamente e un giorno i suoi familiari, cercando le sue medicine nei
vari cassetti, trovarono uno dei suoi diari di cui loro non sapevano nulla;
appena Perlasca si riprese fece scomparire il suo diario come se non
volesse far sapere la sua storia. Un giorno nel 1988 a Padova, nella casa della
famiglia di Perlasca, arrivò la coppia dei Lang, una delle tante coppie salvate
da Perlasca. Dopo aver raccontato la loro storia, la signora Lang decise di
lasciare tre oggetti alla famiglia di Perlasca ovvero una tazzina, un
cucchiaino e una medaglia, ricordo di quel periodo terribile che tutt’ora la
famiglia Perlasca conserva. Giorgio avrebbe voluto che quegli oggetti
rimanessero ai figli e ai nipoti dei Lang, ma la signora insistette. Da questo
momento la coraggiosa storia di Giorgio Perlasca viene allo scoperto insieme ad
un aneddoto caro a Perlasca, aneddoto che sembra rivelarsi come una sorta di
leggenda ebraica secondo la quale nel mondo ci sono 36 giusti, di cui non si
conosce l’identità. Quando il male prevale i giusti contribuiscono a salvare il
mondo, facendo sì che Dio risparmi ai peccatori la punizione divina. Lo stesso
Giorgio Perlasca ormai ottantenne raccontò la sua esperienza in diverse scuole,
non per ricevere riconoscimenti ma perché credeva che i giovani avessero il
diritto e il dovere di conoscere la verità. Ci ha colpito uno dei
riconoscimenti arrivati a Perlasca, di cui il figlio ci ha parlato: una targa
con scritto “ All’uomo a cui dovremmo assomigliare.” Come scuola ci siamo
sentiti onorati di aver accolto il figlio di un Giusto che ha dimostrato tanto
coraggio e determinazione nello scegliere il bene.
Giusy
Amore, Alessia Giannì ed Eleonora Spadola- Classe 4 A1